domenica 12 ottobre 2008

Penna o PC?

Popular PenIl dibattito ferve, anche se negli angoletti dei giornali e in convegni non proprio da prima pagina ed è un bene che sia così. Anche per incentivare la riflessione, riprendo un trafiletto della rubrica NON SOLO CYBER de L'espresso (39/2008, p. 173) in cui Antonio Tursi dà conto delle parole di un pedagogista, Franco Frabboni, che sostiene: «Un testo scritto a mano contiene una riflessione. Un testo scritto al pc o con il telefonino, il più delle volte, assolve alla funzione di trasmettere un messaggio [...]. Considero l'uso del computer uno dei segnali della perdita di corporeità dei nostri ragazzi. Vita sedentaria, isolamento, perdita della manualità, riduzione della capacità di introspezione e riflessione». Ora, per carità, scrivo al pc da anni, anche se per certe cose mantengo imperterrito carta e penna, ma non mi sento di condividere in toto le critiche mosse a questi appunti da Tursi, che dice tra l'altro: «I facitori del sistema scuola possono continuare a denunciare la distanza tra i loro modelli lineari e unidirezionali di insegnamento e le dinamiche collaborative e orizzontali di condivisione e apprendimento che le giovani generazioni sviluppano al di fuori dell'aula» e altre simili osservazioni. Che tradiscono però un netto pregiudizio a favore dell'attuale e contro l'antico che puzza un po' troppo di mito del Progresso a tutti i costi. Sarà anche vero che il futuro impone di provare a cambiare gli schemi mentali... Ma questa cosa delle imposizioni del futuro, dipinte come inevitabili, mi stanca sempre di più. Chi l'ha detto che non si può che proseguire su questa china? Soprattutto quando ciò che si osserva, da un punto privilegiato come l'università, è un ripido peggioramento delle capacità di concentrazione e riflessione, in linea con quanto sostenuto dal "dinosauro" Frabboni. Perché dev'essere necessariamente vero che ciò che abbiamo oggi è migliore di quello che avevamo ieri, da tutti i punti di vista? Certo, il pc è un grande strumento per certe attività, ma accentua Screenradicalmente le meccaniche di esteriorizzazione della mente e della coscienza e la separazione dalla materia del mondo. Come affermava De Kerckhove al convegno di giovedì su SL, questo può risultare nella perdita di capacità di interazione in presenza, nell'incapacità relazionale e il disperdersi nella Rete è, per l'appunto, un disperdersi. Possiamo fare del tutto a meno del movimento che riporta al centro, nell'interiorità con la quale l'Occidente non ha mai avuto buoni rapporti, oppure ne va della possibilità di costituzione della soggettività umana? Sembra di intuire una grande assenza vociante, guardando avanti, e non so se ritenerla ineluttabile e inchinarvisi sia un'idea sensata...

lunedì 15 settembre 2008

Blog brillante?

Mi sono accorto, dando una scorsa ai miei blog, che per un qualche motivo sono solito cominciare i post con delle esclamazioni diciamo un tantino old fashioned. Mi ero anche ripromesso di non farlo più, ma stavolta credo mi tocchi... Oh beh! Mi trovo segnalato da Nymphadora come blog passibile del premioPremio Brillante Weblog Brillante Weblog del quale ammetto di non aver mai sentito parlare prima *sigh* Lo so che si tende a essere sospettosi in questi casi, a chiedersi il perché... Perlomeno a me capita così e poi lascio cadere la cosa. Ho dato un'occhiata in giro, però, e non mi è sembrato che i risultati fossero particolarmente catastrofici, per cui mi sono detto "sai che c'è? Immagino di non far male a nessuno!" E così eccomi ad adempiere alle richieste del regolamento:

1. Al ricevimento del premio, bisogna scrivere un post mostrando il premio e citare il nome di chi ti ha premiato mostrando il link del suo blog - e fin qui ci sono.

2. Scegli un minimo di 7 blog (o di più) che credi siano brillanti nei loro temi o nel loro design. Esibisci il loro nome e il loro link e avvisali che hanno ottenuto il Premio “Brillante Weblog” - dunque... Non posso esimermi dall'iniziare col blog di Luca Bottura & Co. Il blog di Gago 3.0, grazie al quale riesco ancora a ridere di quello che succede in Italia; da un punto di vista professionale prossimo allo spirito di queste pagine menziono poi I media-mondo di Giovanni Boccia Artieri; una boccata di sano impegno e fede utopistica in un domani migliore si può respirare sul blog di Fabio De Nardis, mentre altri panorami e stimoli possono trovarsi su Tre cuori e tre leoni, Rogue Waves, ...È disincanto e Un taglio mai netto - voilà, anche questa è fatta, ora devo solo avvisarli. Buona lettura

3. (Facoltativo) Esibire la foto (il profilo) di chi ti ha premiato e di chi viene premiato nel tuo blog - questo invece lo salto *lol*

A chiudere, notizia dello scopo (benefico) dell'iniziativa:

TRATTO DAL REGOLAMENTO “Cosa significa Brillante Weblog?“Brillante Weblog” viene assegnato a siti e blog che risaltano per la loro brillantezza sia nei temi che nel design e il suo scopo è di promuoverli tutti nella blogosfera mondiale."

martedì 12 agosto 2008

La mistica del manager

monk 2«Nell'aria rarefatta del mattino i manager sono riuniti in meditazione. Ascoltano concentrati le note del canto gregoriano che si diffondono nel parco della villa barocca che fu dei gesuiti (...). Sono appena le otto, ma è già tardi (...). Del resto poche ore di sonno sono sufficienti per persone che, come spiega l'amministratore delegato di una importante azienda, devono avere fisico allenato e tempra da atleti per affrontare le responsabilità quotidiane» (M. Cavallieri, Slalom di carriera, L'espresso 30/2008, p. 144)

Spesso, quando parlo di prospettiva immaginale, studenti e colleghi hanno difficoltà a capire cosa intendo, dato che sul tema "immaginario/immaginale" si è detto e scritto di tutto alla luce, tra l'altro, di uno dei pregiudizi più inflessibili e condivisi della nostra cultura. Allora passaggi come questo, privo di ogni ironia e pervaso, di contro, da uno stupore reverenziale, aiutano a spiegare. E' evidente - perlomeno ai miei occhi - che la figura del manager, lungi dall'essere percepita e intesa come una professione tra le tante, riassume in sé dei tratti eroici e spirituali che ne fanno la versione contemporanea dell'eroe-sacerdote. D'altro canto basta pensarci su un momento: a) possiede un sapere esoterico che spesso è incomprensibile a lui stesso (siamo tornati addirittura ai vaticini di Delfi!); b) fa parte di un gruppo ristretto al di là del bene o del male (quasi nessun esponente di questa casta - contro la quale non odo strepiti o manifestazioni! - ha mai pagato per i considerevoli sfracelli combinati: in Italia poi prendono premi stratosferici anche se abbandonano la nave mentre affonda per colpa loro oppure se ammettono candidamente di non sapere nulla di ciò che accade nelle loro aziende, come il buon Tronchetti Provera di recente o l'attualeThe Leader Presidente del Consiglio); c) è bello, elegante, potente, sempre attorniato da donne splendide... Appare abbastanza chiaro che il culto dell'economia non può essere scalfito da semplici osservazioni razionali, quali il richiamo all'abisso nel godimento dei suoi profitti, all'ambiente al collasso o alla stupidità raccapricciante della gran parte dei comportamenti da essa influenzati: l'apparato simbolico e immaginale è troppo potente per temere il misero attacco della ragione. Risalta, nella breve citazione, un registro evocativo che rinvia a spessore spirituale e carisma, uniti alle non comuni doti fisiche e caratteriali che fanno l'altro eroe del nostro tempo, il campione sportivo, per dipingere il personaggio di un romanzo, non un uomo in carne, ossa e - spesso - difetti. Un uomo al di sopra di sospetti e critiche, un... LEADER! E diciamola, no?, la parola magica che sostanzia in sé l'intera costellazione di senso!
C'è di buono che il processo inflattivo che ci ha portato a passi insulsi come quello appena citato o quest'altro capolavoro:

«L'ardita operazione ha la regia di un uomo determinato, il carioca Carlos Brito, volto nuovo del capitalismo mondiale. "E' bassetto, moro ed ha uno sguardo deciso. Quando l'ho visto la prima volta, il suo aspetto e la sua volontà di dominare il mondo mi hanno fatto pensare a Napoleone"» (A. D'Argenzio, La birra? E' in fermento, L'espresso 30/2008, p. 126)
Napoleon
il processo, dicevo, ha completamente perso di vista ogni senso della misura e ormai, più che sfiorare, sguazza nel ridicolo. E il ridicolo non è razionale, se Dio vuole! Riesce a imporsi nonostante i peana e le autoillusioni - che giocano in tutto questo un ruolo centrale - e a svelare che il Re è nudo. E patetico. Tanto per capirsi, il campione in odore di Napoleone qui sopra dirige una fabbrica di birra! Molto grande, ma pur sempre una fabbrica di birra. E i monaci shaolin più sopra sono gente che nella gran parte dei casi tira coca e reagisce come il famoso cane di Pavlov a poche parole chiave
The King Is NakedEd è anche un peccato, perché qualche segno di scuotimento dal torpore trionfalistico ci sarebbe anche. Lo stesso articolo di apertura, qui sopra, prosegue tirando in ballo nuove figure che rinunciano all'adorazione della carriera seguendo vocazioni non economicistiche, cosa che è musica per le mie orecchie, anche se nella prassi di vita di una tale evoluzione nei comportamenti non ho notizia né coscienza. Sarà che sono cinico...

giovedì 3 luglio 2008

Una cultura approssimativa

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d'un greto,
esiguo specchio in cui guardi un'ellera i suoi corimbi;
e su tutto l'abbraccio d'un bianco cielo quieto.
Bosco in Corsica
Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto s'esprime libera un'anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma,
e che il tuo aspetto s'insinua nella mia memoria grigia
schietto come la cima d'una giovinetta palma...

Una cosa buona è che tutta questa faccenda della traccia della maturità sbagliata mi ha riportato alla mente una delle mie poesie preferite di Ossi di seppia, che il tempo si era premurato di erodermi dalla memoria. Una delle più belle approssimazioni all'emozione vissuta attraverso le parole che abbia mai letto. Sinestesia pura, lo scorrere d'acqua quasi impercettibile, il gorgoglio che immagini coperto dall'alito di vento più lieve, la frescura, i riflessi, il sollievo...

La cosa non buona è che, tanto per cambiare, l'incidente mette in luce l'approssimazione - di tutt'altro genere - con cui si fanno ultimamente le cose in Italia. Accentuata e descritta con un sorriso amaro da Umberto Eco nell'ultima Bustina di Minerva, che potete leggere qui.

domenica 15 giugno 2008

Cose che non ti aspetti

La nuova campagna MotorolaUno i libri li compra e li mette lì. Spesso non li legge subito, spesso passano mesi se non anni prima di prenderli in mano. Poi qualcosa ti risuona in testa e ti trovi con un'improvvisa curiosità di vedere che c'è scritto e cominci. Nel frattempo hai letto altro, stai leggendo altro. Spesso ho la sensazione che le cose che leggi, studi e pensi interagiscano tra loro alle tue spalle, mentre sei disattento o proprio non ci sei e ti giochino dei tiri, bonari. Si divertano a organizzarsi come un attrattore strano e a farti incappare in traiettorie che mai e poi mai ti saresti imamginato... Sto leggendo un libro di Rifkin, L'era dell'accesso, che era lì da un po', in attesa. Più o meno nello stesso periodo ho cominciato un romanzo giapponese di inizi '900, Io sono un gatto, acquistato senza saperne nulla, per il titolo e la copertina. Doveva essere lo spazio libero da scopi universitari, l'angolino in cui ti isoli per qualche tempo ogni giorno per rifiatare. Beata illusione! Per qualche tempo mi sono limitato a riportarne passaggi particolarmente stuzzicanti su Aforismatica, poi la cosa si è complicata.

Jeremy RifkinTesi principale di Rifkin è che siamo a un altro punto di svolta nella storia della nostra cultura. Al concetto di proprietà, statico, saldo, duraturo, si sta rapidamente sostituendo quello di accesso, temporaneo, mutevole, scostante, molto più adatto alle dinamiche frenetiche del tempo e soprattutto al costante "miglioramento" delle caratteristiche degli oggetti, che invecchiano con rapidità tale da rendere impensabile il tenerli con sé troppo a lungo. Questo ovviamente crea problemi alle industrie, che devono rivedere in modo radicale le loro strategie verso i consumatori, che non sono neanche più tali: si trasformano infatti in destinatari di servizi. Non si vende loro qualcosa, si soddisfa una loro esigenza attraverso i mezzi e i termini di volta in volta più adatti. L'architettura delle esigenze e dei bisogni dei soggetti è quindi il nuovo obiettivo cui le aziende dedicano le loro energie. Uno dei sistemi più furbi da loro escogitato ha a che fare con l'intercettazione delle necessità relazionali, sempre meno soddisfatte da una società secondarizzata all'eccesso: le aziende mirano a divenire titolari della fiducia e dell'affetto degli ex-clienti, così fidelizzandoli al di là di ogni ragione strumentale e seduzione economica - che intanto continuano però a essere sbandierate come unici criteri di scelta e orientamento nella vita... L'idea, conviene Rifkin, è raccapricciante, degna di questa nuova fase culturale.

"
A quel punto - racconta Meitei, uno dei protagonisti di Io sono un gatto, parlando di una truffa commerciale di cui ha letto - gli dico che non si deve preoccupare per il pagamento, se il dipinto gli piace, può portarlo via. Il Ikebanacliente esita, protesta che on può accettare. Allora, insisto, può pagare poco per volta ogni mese. Piccole rate su un lungo periodo, tanto ormai diventerà un cliente..." Il romanzo è del 1905, la sensazione che non ci sia niente di nuovo sotto al sole per chi ha occhi per vedere è tanto schiacciante da confinare con la noia esistenziale *sigh* E non finisce qui. Meitei prosegue, in uno dei tanti momenti di socievolezza simmeliana che costituiscono l'intero romanzo, spiegando al suo piccolo uditorio perché presto non ci saranno più famiglie. È un problema di personalità: "Quando un clan familiare era rappresentato dal capofamiglia, un distretto dal suo delegato, un paese dai governanti, solo questi rappresentanti avevano una personalità, gli altri individui no. E se l'avevano non veniva riconosciuta. Ora che la situazione è drasticamente mutata, ognuno vuole esternare a tutti i costi il proprio carattere ed evidenziare la differenza tra se stesso e gli altri, io sono io, tu sei tu. Se due persone si incontrano, proseguono ognuna per la propria strada, sfidandosi in cuor loro: se tu sei una persona, lo sono anch'io. Tale è la forza che ha acquisito l'individuo. Ma se gli individui sono diventati equamente forti, sono anche diventati equamente deboli. Forti, perché ormai nessuno può ledere i loro diritti a proprio arbitrio e capriccio, ma palesemente più deboli di un tempo non potendo più imporre la propria volontà agli altri. Ora se tutti sono contenti di acquisire forza, nessuno è felice di essersi indebolito; il risultato è che ognuno, per non venire sopraffatto neppure in minima misura e prevaricare almeno un poco sui suoi simili, difende con le unghie e con i denti i suoi lati forti mentre cerca di sbarazzarsi di quelli vulnerabili. Arrivati a questo punto lo spazio tra una persona e l'altra viene a mancare e la vita diventa difficile. Diventa sofferenza, una condizione di tensione estrema al limite delle possibilità umane. E poiché si soffre, si cerca con ogni mezzo di creare tra un individuo e l'altro uno spazio dove muoversi più liberamente. L'uomo è causa del proprio male, e la fonte prima del suo dolore è il distacco della generazione dei genitori da quella dei figli."

Per uno che sta studiando l'importanza smarrita delle relazioni primarie e il ruolo contemporaneo dei mondi virtuali alla Second Life c'è di che riflettere. E restare di stucco di fronte alla lucidità di visione di uno scrittore giapponese che dal suo punto di vista altro aveva capito parecchio già un secolo fa e lo canzonava con ironia lieve e acuminata. Un ultimo passo (per i precisi inguaribili le citazioni vengono da Natsume Soseki, Io sono un gatto, Neri Pozza, 2006, pp. 470; 473-476): "Un bel giorno un filosofo discenderà dal cielo per predicare una nuova verità. Ecco quello che dirà: l'uomo è un animale dotato di personalità. Annullare questa personalità equivale ad annullare l'uomo. Per dare un senso, anche minimo, alla sua esistenza, è necessario preservare e sviluppare la sua personalità, qualunque sia il prezzo da pagare. Continuare a sposarsi, costretti da un'abitudine perversa, è una barbarie contraria alla natura umana, una barbarie perdonabile in un'epoca ignorante in cui la personalità non si era ancora sviluppata, ma nella nostra epoca civilizzata non fermarsi a considerare la scelleratezza di quest'usanza perniciosa sarebbe un grave errore."
Uno scorsio giapponese

domenica 4 maggio 2008

Il magico dopo il moderno

The Dresden FilesStrani segni invero, soprattutto quando si hanno occhi per vederli. Se è vero che i testi televisivi sono il commento e la descrizione del nostro tempo, i cambiamenti che si registrano nella loro lingua sono qualcosa di più dello sghiribizzo degli sceneggiatori. Indicano linee tendenziali e maree immaginali, ben più dei discorsi retorici dei media o della politica. O, se è per questo, dell'economia. Su Fox è partita una nuova serie, The Dresden Files, con un protagonista molto simpatico e con forti echi di quello che può ormai definirsi un classico dell'universo serial, Streghe. Ancora! si potrebbe dire: dopo n stagioni delle sorelle Halliwell ci ritroviamo con un menu appena appena diverso? Personaggi mitici e leggendari, libri con descrizioni perfino troppo puntuali, incantesimi e oggetti di potere... Roba stranota se non fosse che... L'aria è un po' diversa: prima di tutto un po' più hard-boiled, diretta a un pubblico adulto ch non ne può più di bigliettini in rima e pozioni monodose. E poi quella che in Streghe era una comoda via di fuga per episodi un tantino traballanti - l'amicizia con un poliziotto - diventa un tratto fondamentale, una connessione che funziona nei due sensi. E non è il soloUn'immagine di Medium caso. Gli esempi cominciano ad abbondare: abbiamo Missing, dove sogni e parapsicologia la fanno da padroni, tanto da diventare oggetto di un progetto FBI; abbiamo Medium, dove le doti soprannaturali della protagonista vengono normalmente sfruttate dalle forze di polizia. Gli esempi di un'irruzione sempre meno problematica di mezzi e strumenti "da ciarlatani" nella normalità quotidiana si moltiplicano. Il che la dice lunga sulle condizioni del discorso culturale prevalente fino a poco tempo fa. Un ritratto eccellente di questa battaglia di retroguardia viene da un episodio di Numb3rs, serie che pur ispirata a criteri diametralmente opposti finisce per far sembrare la matematica una magia in sé sortendo quindi l'effetto opposto a quello ricercato, almeno immagino: il protagonista, matematico provetto - anche troppo! - si scontra con un medium del quale tenta per tutto l'episodio di dimostrare l'inaffidabilità, con risultati non molto convincenti.
Che dirne? Che, come al solito, pro e contro sono accuratamente mescolati: se da un lato la falla nella pretesa universalizzante della ragione restituisce incanto e mistero a un mondo che si andava irrimediabilmente appiattendo su una deprimente dimensione strumentale, dall'altro questo incanto non viene mai tematizzato in sé o dotato di una dignità autonoma, ma si trova rivestito di nuovo di una patina utilitaria. I "mostri" vengono sopportati - o addirittura accettati - perché fanno comodo, perché arrivano dove i mezzi tradizionali, lisi, non sono più in grado di fare la differenza... E' il segno di uno sdoganamento: temo che si tratti però più di paura e smarrimento che di curiosità scevra da pregiudizi e apertura alla magica complessità del reale.
The System Is Incomplete

sabato 12 aprile 2008

Persi nel labirinto

Vignetta proprio niente male :)Oh beh, ci risiamo  anche stavolta ci sono ricascato, il che mi spinge a qualche derivazione paretiana per giustificare le ore che passerò a interrogarmi sulla quarta stagione di Lost. Avevo giurato, alla fine della seconda (la peggiore, per me), che non mi avrebbero più avuto, poi la curiosità mi ha spinto ai primi episodi della terza... Mettiamoci anche recensioni entusiastiche captate qua e là, addirittura paralleli con Balzac, e allora ci si interroga: mi è sfuggito qualcosa? Cosa c'è in questa zuppa con trichechi di tanto intelligente? Per carità, il ritmo e la gran parte dei colpi di scena sono magistrali, però è altrettanto vero che spesso si ha la netta sensazione che gli autori abbiano esagerato, che si siano persi anche loro...

E allora, potrei chiedere? Ci sarebbe qualcosa di male oppure paradossalmente potrebbe non esserci modo migliore di andare avanti? Arrancando, come facciamo un po' tutti in questo inizio di XXI secolo, orfani di certezze, verità e altri tipi di bussola, gettati in una cultura che ricorda sempre più da vicino Tafazzi, ma senza la simpatia. C'è qualcosa del cupio dissolvi in un flusso di pensiero, ricerca e ragionamento che mira senza tregua a minare le sue stesse basi, ad annullare i suoi presupposti e la sua stessa pensabilità in nome di... cosa? Della soddisfazione masochistica di aver avuto Ragione? Dell'affrancamento da una dimensione emotiva ed estetica che si è deciso di giudicare non umana, maUn'isola animale (e dalli con questi insulti agli animali, che hanno la sola colpa di non essere come noi e di non saper reagire)? La cieca determinazione al controllo mostra ogni giorno di più la sua impossibilità e nel frattempo devasta ogni provincia superstite in cui penetra: che si tratti di tecnologie ultrasofisticate che non ti impediscono di esser vittima o di un fumo nero che sgorga a tradimento dagli alberi che cambia? Cosa dire del mondo oltre l'isola se perfino l'isola - uno sputo di terra - è troppo da capire, se annulla ogni tentativo di domarla, o spiegarla, con colpi di scena imprevedibili? E il bello è che la chiave della comprensione potrebbe trovarsi in un progetto precedente, in un metadiscorso chiamato Dharma (che è un altro nome del Tao e mette in luce oltre ogni dubbio la hybris che affligge i suoi creatori) che già di suo è andato a carte 48. L'isola fatidica è lo scoglio della cultura occidentale, quello che affonda a ripetizione i suoi Titanic. E' il buco dal quale devi fuggire a tutti i costi perché manda in cortocircuito il tuo modo di comprendere il mondo, anche se non hai nulla cui tornare là fuori.

Una delle domande più impellenti cui volevo rispondere stasera è questa: perché hanno tutti così tanta fretta di andar via? La gran parte dei protagonisti non ha una vita, ha solo desolazione, grane, solitudine, eppure non si gode un momento che è uno in un posto che sembra il paradiso in terra, tanto che Hugo si ricorda di fare un tuffo solo quando è finalmente certo di star andando via... Certo, una parola grossa diciamo che pensa di star andando via e quindi rassicurato può comportarsi come sa fare in un contesto ridiventato come per incanto comprensibile. Una delle tracce interpretative più ammiccanti è proprio questa: l'incapacità di vivere fuori dai quadri condivisi, familiari, anche se non ti hanno dato nulla di buono, e lo scarto che impari soltanto dopo. Quando ti penti di non averci pensato prima e vorresti tornare lì. All'Eden perduto? A una condizione migliore che ti era stata mostrata e che non hai capito, perché di norma non capiamo un accidenti?

E poi c'è il Destino, la teleologia del vivere contro la radicale mancanza di senso, quella che trasforma in eroi anche degli ex-tossici e a tratti sbalza il discorso a livelli cui siamo impreparati. L'isola chiama, l'isola sceglie. La sola rassicurazione possibile è l'inserimento in un disegno più grande, la fede con o senza maiuscola? Abbiamo grossi pregiudizi su tutto ciò che limita la nostra libertà tranne che su noi stessi, che spesso siamo i primi a rinchiuderci in idee stantie e non nostre, che la libertà vera non sappiamo più dove sta di casa e fuggiamo da chi tenta di mostarcela. O gli spariamo, come capita spesso al buon Locke, uno dei tanti miracolati, ma almeno uno che ha capito. Che lì dopo tutto si sta meglio.
Un panorama dell'isola

lunedì 24 marzo 2008

La Torre Nera

La Torre NeraSono in molti a prendersela con Stephen King, il successo genera denaro da una parte, invidie terribili da un'altra. Ed è anche questo un legame contraddittoriale, difficile mantenere l'uno ed eliminare solo le altre. Per quanto sia innegabile che spesso il Re scrive per fini mondani, comunque (e non vedo perché non dovrebbe, a essere sincero: la gran parte degli altri autori fa lo stesso e con molta meno bravura!), ci sono momenti in cui la sua arte trascende il genere e il mestiere e diventa vero racconto del XX e XXI secolo. Cose preziose, It, L'ombra dello scorpione non sono manierismi dark fantasy o qualunque altra etichetta si voglia appiccicar loro addosso, sono quadri distorti e magnificati della nostra società fino all'ultima virgola: le esigenze inconfessabili, le paure irrazionali che cambiano pelle e diventano politica o scelte di vita o strategie di marketing, la vigliaccheria diffusa di chi non è mai responsabile delle sue azioni. A voler essere precisi, ci sarebbe da stupirsi del successo di King, visto il ritratto della società americana che di norma si ricava dalle sue opere.
Questo però non è il punto: il punto è piuttosto che la massa immensa dei suoi scritti traccia un percorso al quale sarebbe da dedicare ben più di un post anomalo qui su Ciottoli. Nel tempo i rimandi, le riprese, le vie secondarie si moltiplicano; nomi, volti, situazioni riecheggiano, precisandosi e assumendo nuove valenze in un caleidoscopio narrativo che rivela l'autore di genio e l'opera memorabile. E La Torre Nera è il Susan Delgadometatesto per eccellenza, la storia della Bildung dello scrittore e del suo alter ego pistolero, Roland Deschain di Gilead. In essa convergono le piste narrative di una miriade di romanzi; trovano nuovo splendore e spessore personaggi già incontrati e dei quali il destino era rimasto oscuro; si rivelano le sinestesie creative del maestro: la città di Tull è un omaggio ai Jethro Tull, il Re Scarlatto è l'immagine distorta degli incubi sonori dei King Crimson e poi via per una lunghissima lista di citazioni, interstizi, richiami pop o più culturali, come la ballata da cui tutto inizia, più di trent'anni fa, Childe Roland to the Dark Tower came (qui per una traduzione). Una storia sgranata negli anni per lui e per noi che abbiamo aspettato per una vita, in bilico tra aspettative, curiosità e paura di non vedere la fine. Una storia in cui lui stesso diventa protagonista ed esorcizza l'incidente stradale che per poco non gli è costato la vita, a lui, a noi il finale. Un diffrangersi di prospettive e identità e una notevole autospietatezza nel dipingersi poco eroico e molto umano, in passaggi che non possono che suscitare ammirazione: un altro tocco magistrale.
E ora ciò che ha occasionato questo post: un romanzo grafico di grande bellezza, che riorganizza materiali di più volumi della Torre con soluzioni originali e tavole di  forte impatto, a dimostrare che il fumetto è ormai ben più di un passatempo adolescenziale e merita appieno un posto tra i media espressivi contemporanei. Peculiare che, nell'era dell'immagine, tutto ciò che non è spot pubblicitario soffra ancora di così tanti stigmi, non trovate? Dev'esserci qualcosa sotto...
Childe Roland to the Dark Tower Came di Thomas Mora

sabato 19 gennaio 2008

I nuovissimi mostri

DexterTorniamo a occuparci di temi apparentemente più frivoli  L'ho lasciato decantare qualche tempo, perché Dexter non era un serial come gli altri. Con aria leggermente svagata, senza accentuarlo troppo, ha rappresentato il superamento di un altro limite, nella fiction. Un'altra confusione notturna che viene a scombinare i già deboli sistemi di riferimento valoriale di cui la gran parte dei soggetti contemporanei dispone. Un altro dei casi in cui a priori non si sa a che santo votarsi, perché il protagonista, l'eroe, è un serial killer. Un po' atipico, è vero, perché il padre adottivo, che aveva scoperto i suoi "gusti", l'ha educato a rivolgere le sue attenzioni ad altri cattivi, criminali che per numerosi motivi sfuggono alla giustizia. Così, per non restare a corto di vittime e per seguire in parte l'esempio del papà, figura di riferimento, Dexter è un tecnico di laboratorio della Scientifica di Miami, perito ematologo (si noti l'ironia), un poliziotto. Un novello Robin Hood, per certi versi, e anche simpatico e bisognoso d'affetto... E così il disordine arriva alle stelle!
Questo però è solo il primo livello di sfida che gli autori della serie rivolgono al malcapitato pubblico. Iniziano coll'instillare un sottile disagio, che viene dalla dinamica di immedesimazione implicita nel meccanismo narrativo; spingono a riconoscersi in un maniaco omicida, anche se con alcune sfumature attenuanti. E già questo non è male. Poi lasciano che il maniaco rifletta sul suo stato, in sequenze sparse all'interno dei vari episodi, per approfondirne il ritratto e lo spessore psicologico e per fomentare la simpatia degli spettatori.
Così il quarto episodio, Album di famiglia, inizia con queste parole: "
La gente intorno a me cerca sempre di stringere nuove relazioni, di amicizia o di amore, ma i legami portano fastidiose complicazioni, impegni, la condivisione, accompagnare qualcuno in aeroporto. Se una persona mi arriva così vicina scoprirà chi sono veramente e io... non posso permettermelo. E' ora di mettermi la maschera!" Un dramma, nevvero? Che pena proviamo per un uomo orbato di un'intera dimensione così importante nella vita... Qualche minuto dopo - la puntata è ambientata a fine ottobre - arriva quest'altro monologo: "Adoro Halloween. E' l'unico periodo dell'anno in cui tutti portano una maschera, non solo io. La gente trova divertente fingere di essere un mostro, io passo la vita a far credere di non esserlo. Fratello, amico, fidanzato, tutte maschere che indosso ogni giorno. Qualcuno mi definirebbe un impostore... Io preferisco considerarmi un maestro del travestimento!"
HalloweenTempo di Halloween, tempo in cui ci si diletta di mimetismo e maschere. Il solo tempo in cui Dexter è simile agli altri... Ma ne siamo proprio sicuri? O c'è - come diciamo a a Roma - la fregatura? Quali maschere indossa infatti, di solito? "Fratello, amico, fidanzato", poliziotto - si può aggiungere - scienziato e chi più ne ha più ne metta. Non la strega o l'elfo o il pazzo con la motosega o Freddy. Indossa le stesse maschere che tutti indossiamo e se può farlo per rendersi normale è perché in effetti sono travestimenti, sono ruoli, cose che dichiarano e nascondono. Non solo Dexter. Potenzialmente chiunque. Ecco perciò che l'implicazione fastidiosa di poco fa diventa un'accusa velata. Come si fa a distinguere il maniaco dalla persona normale? Come si fa a capire chi dichiara e chi nasconde? Chi mente e chi no?
E' una vertigine! E anche le parole iniziali prendono un altro sapore, spingono a riflettere meglio sul gioco delle relazioni e sul valore dei rapporti, soprattutto in un tempo di menzogna generalizzata, solitamente riguardante la millantata originalità che ognuno sostiene di portare in sé... Tema prossimo alla Bildung, imbarazzante, che quindi si deve a tutti i costi perseguire Come diceva Bono: "Am I bugging you? I MEAN to bug you!" Tema che ci porta dove, per chiudere questo post fiume? Al problema della vera originalità soggettiva, principe nascosto di questi anni. Dopo l'inversione moderna del tono spirituale dell'unicità, questa è diventata una specie di miraggio, qualcosa che tutti affermano, pretendono di avere e che invece scarseggia sempre più. D'altronde, in questo tempo di bluff, chi è che può andare a vedere la mano? Solo qualcuno che abbia il punto. Tutti gli altri fingeranno di credere alle balle altrui purché gli altri credano alle loro, in un gioco di specchi dove al centro c'è solo un vuoto crescente. In questa situazione, però, vale per tutti ciò che vale per Dexter: "Se una persona mi arriva così vicina scoprirà chi sono veramente e io... non posso permettermelo. E' ora di mettermi la maschera!". Ecco da una parte spiegata la crisi onnipresente delle relazioni primarie, troppo rischiose; inoltre, lo scivolamento è compiuto e il povero animale braccato per cui provavamo pena è diventato una rappresentazione iperbolica di noi: il vicino normale che ha sterminato la famiglia, quel signore tanto per bene che mangiava prostitute, quell'altro che spaccia roba tagliata male. E non è neanche finita qui! Perché in questo simpatico clima, il solo veramente pericoloso è quello che è originale davvero, senza aver bisogno di far stragi o massacrare qualcuno; quello che è spiritualmente unico e può venire a scombinare il gioco degli altri, mostrando quanto sia patetico e insignificante il re nudo. In chiusura di puntata i responsabili della serie si dilettano a sbatterci in faccia la soluzione della sciarada che ci stanno ammannendo, infrangendo gli alibi, ma delicatamente, contando sul fatto che i più non si ricordano le battute di mezz'ora prima e che tutto continuerà a sembrar loro solo un innocuo serial: "Tutti nascondono ciò che sono veramente. A volte seppellisci una parte di te tanto in profondità da dimenticarti che esiste. E a volte vorresti solo dimenticarti chi sei. Non sono il mostro. Non sono né un uomo, né una bestia. Sono qualcosa di completamente nuovo e seguo le mie regole. Sono Dexter".