giovedì 3 luglio 2008

Una cultura approssimativa

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d'un greto,
esiguo specchio in cui guardi un'ellera i suoi corimbi;
e su tutto l'abbraccio d'un bianco cielo quieto.
Bosco in Corsica
Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto s'esprime libera un'anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma,
e che il tuo aspetto s'insinua nella mia memoria grigia
schietto come la cima d'una giovinetta palma...

Una cosa buona è che tutta questa faccenda della traccia della maturità sbagliata mi ha riportato alla mente una delle mie poesie preferite di Ossi di seppia, che il tempo si era premurato di erodermi dalla memoria. Una delle più belle approssimazioni all'emozione vissuta attraverso le parole che abbia mai letto. Sinestesia pura, lo scorrere d'acqua quasi impercettibile, il gorgoglio che immagini coperto dall'alito di vento più lieve, la frescura, i riflessi, il sollievo...

La cosa non buona è che, tanto per cambiare, l'incidente mette in luce l'approssimazione - di tutt'altro genere - con cui si fanno ultimamente le cose in Italia. Accentuata e descritta con un sorriso amaro da Umberto Eco nell'ultima Bustina di Minerva, che potete leggere qui.