lunedì 1 ottobre 2012

Alla corsara 7 - Del populismo

Per quanto l'espressione mi intenerisca e rattristi - dato che ricorda tempi in cui dialogo e discussione avevano e davano senso - a volte è adatta: ferve il dibattito, sulla stampa e in tv, sul tema del populismo, con la partecipazione di grandi nomi. Per mettersene al corrente è utile il bell'articolo di Gigi Riva che trovate qui, dove il giornalista fa un'ampia panoramica di autori e posizioni. E parlando dell'ultimo libro del raffinato maître-à-penser Todorov, I nemici intimi della democrazia (Garzanti 2012), ne cita un brano: «[Il populismo] È presente ogni volta che si pretende di trovare soluzioni semplici per problemi complessi, proponendo ricette miracolose all'attenzione distratta di chi non ha tempo per approfondire. Può essere sia di destra sia di sinistra, ma propone sempre soluzioni immediate che non tengono conto delle conseguenze a lungo termine. Preferisce semplificazioni e generalizzazioni, sfrutta la paura e l'insicurezza, fa appello al popolo, cortocircuitando le istituzioni. Ma la democrazia non è un'assemblea permanente né un sondaggio continuo». All'articolo di Riva fa seguito, questa settimana, un approfondimento/replica di Sofia Ventura, qui, dove la brillante autrice afferma: «L'emergere di movimenti e partiti che con una propaganda fatta di estreme semplificazioni individuano nemici (dai tecnocrati agli immigrati, dalle banche a occulti poteri transnazionali) e che, pur presentandosi alle elezioni, nei contenuti e talvolta nei comportamenti appaiono poco compatibili con i principi delle nostre democrazie, giustamente preoccupa.»

Entrambi gli autori sembrano descrivere realtà marginali e minacciose, possibilità condizionali di deriva di un sistema per altri versi sano e funzionante. È un caso lampante di gestione dell'anomalia, nei termini della filosofia della scienza di Kuhn, un modo per disinnescare conseguenze catastrofiche per un intero paradigma che nell'anomalia stessa trova la sua crisi e superamento. Qual è l'anomalia? Per quanto scrive la Ventura, la prima cosa che viene in mente è che la sua descrizione si attaglia alla perfezione alla Lega, partito che ha governato l'Italia per più di un decennio: non parliamo quindi di gruppuscoli facinorosi, ma di realtà consolidate e potenti che giustamente dovrebbero preoccuparci. Per quanto citato da Todorov, invece, la questione è ancora più delicata, perché di fatto l'autore descrive il modo di procedere dell'intera cultura occidentale da qualche secolo a questa parte. Dice Morin del paradigma di semplificazione che, «di fronte a ogni complessità concettuale, prescrive sia la riduzione, sia la disgiunzione» (I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Milano, Cortina, 2001, p. 25) e ci ricorda (p. 24) che «il paradigma prescrive e proscrive, effettua la selezione e la determinazione della concettualizzazione e delle operazioni logiche. Designa le categorie fondamentali dell'intelligibilità e opera il controllo del loro uso. Così, gli individui conoscono, pensano e agiscono secondo i paradigmi inscritti culturalmente in loro.»


Se quelli descritti da Todorov a proposito delle famose minoranze cattive sono invece i procedimenti di attribuzione di senso della cultura occidentale, stupirsi dell'incedere del populismo è perlomeno peculiare. Come potrebbe, una cultura che predica la riduzione e la semplificazione come strada maestra per la comprensione della realtà, generare istituzioni che si conformino a questi principi? Lo stesso utilizzo del termine populismo è semplicemente apologetico, vuole stigmatizzare una piccola parte per salvare l'intero, senza riuscire a vedere - e non per malafede, ma per quello che sempre Morin chiama «accecamento paradigmatico» - che il problema è a monte, nella transizione verso nuove grammatiche di descrizione della realtà che correggano errori secolari, sulla scorta dei quali è oggi pressoché impossibile distinguere tra il populismo paventato e quella che chiamiamo democrazia.