martedì 31 gennaio 2017

Birdman 2

Ho buttato lì un paio di citazioni su Aforismatica, ma credo sia il caso di tornarci sopra. Perché in Birdman c'è veramente molto, forse perfino troppo. E questa è una delle ragioni per cui ho lasciato passare un po' di tempo prima di rimetterci mano. In particolare la cosa che più mi ha incuriosito e creato difficoltà di comprensione è lo sdoppiamento qui sopra, tra l'attore di teatro e il personaggio un po' trash che dà il titolo al film. Tra cultura alta e cultura bassa, uno potrebbe dire. Michael Keaton ha impersonato per un certo periodo il pennuto supereroe e grazie a lui è diventato popolare. Il problema però è che "la popolarità è la cuginetta zoccola del prestigio", come osserva a un certo punto Edward Norton, è passeggera e lascia l'amaro in bocca. E un desiderio di redenzione, di ritorno alla purezza originaria che dovrebbe attuarsi a Broadway, grazie alla messa in scena di Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. Fin qui sembrerebbe perfino una storia già sentita, arte vs mercato, dimensione etica vs prostituzione al pubblico, eccetera. Ma c'è un però...

RIggan i superpoteri ce l'ha sul serio! Almeno telecinesi e levitazione, poi si scopre anche volo. Come si dice a Roma, mettice 'na pezza! E non si tratta di sogni ad occhi aperti, ci sono testimoni, c'è un'aria di passaggio ad altri ordini di realtà che costringe a correggere il tiro sullo spettacolo e su tutto quello che porta con sé: rapporti amorosi, relazioni filiali, rischi economici, rinunce. Da cosa si redime, Riggan? E perché è un supereroe vero, nonostante la finzione da cui rifugge? E' decisamente un bel casino, una subtrama spiazzante in un film che sembrerebbe altrimenti anche lui un adattamento teatrale, in un caleidoscopio alla Borges di finzione nella finzione nella finzione... Come dicevo, forse troppa carne al fuoco, ma per un blog che vuole cercare piste per l'immaginario un'occasione ghiotta, anche se difficile da sfruttare. Perché la lettura di questo strano intreccio sembra in qualche modo distorta da un eccesso di ragione, di logos, come se invece di lasciare libero il pensiero mitico l'avessero voluto imbrigliare, rendere didascalico. Vediamo: l'alter ego pennuto di Riggan vuole convincerlo a ricominciare con i sequel, ad abbandonare le pretese artistiche in favore della notorietà di bassa lega. Non ha quindi a che fare con la sfera esoterica verso cui si incammina il protagonista; o potrebbe rappresentarne una versione depotenziata, pervertita dai miti d'accatto dell'oggi: denaro facile se si è disposti a vendere l'anima e un fascino di princisbecco. Direi, a naso e in prima approssimazione, che in gioco c'è proprio l'anima e che l'insieme è una prova da cavaliere che Riggan in qualche modo supera, non a caso con qualcosa che si avvicina moltissimo al supremo sacrificio. Ironicamente, questo funziona benissimo anche in campo commerciale e mediatico, tanto da guadagnargli un trionfo in seguito alla fatidica prima. Trionfo al quale, però, egli rinuncia. E' già oltre 😄

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